Due domande di Giancarlo Politi
La Parola agli Artisti
Flash Art #150, 1989

–Perché fai l’artista e cosa significa per te oggi essere artista?
L’arte è una colpa. La colpa di avere questo faccino che vedete qui riprodotto, ad esempio. Immagina di soffocare, di avere le tonsille fiaccate da una tara, abbastanza enfie da far passare solo un pallido mugolio: ecco l’arte.
Faccio l’artista per espiare il fatto di aver visto la morte in faccia, e di rivederla perennemente sulla mia faccia. Io sono l’artista dalla coscienza sporca nella società della falsa coscienza.
Non so rispondere riguardo al significato dell’essere artista oggi, perché io sono l’artista del domani, non dell’oggi: diffidare di chi si rapporta al proprio tempo come una rima baciata.
–Cos’è per te la qualità?
Per ciò che concerne questo secondo quesito, penso che la “qualità” dell’opera come corpus organico non sia definibile; ritengo piuttosto definibili “le” qualità, che nel mio caso sono essenzialmente:
A) quelle androgine (entelechiche), che riguardano il prima della Caduta;
B) quelle dialettico-negative (economistiche), che riguardano il durante la Transizione;
C) quelle medianiche (eteronome), che riguardano il dopo la Dipartita.
Musica, cinema, filosofia, letteratura e persino il fumetto sembrano “in fissa” con l’amore negli ultimi tempi. Può l’arte visiva emanciparsi da questo cliché? Parafrasando una persona incontrata a Venezia in un bar qualche anno fa – e oggi defunta – io penso che “L’amore è più banale della morte”.
Va bene così, Giancarlo? Sono stato abbastanza “artista” nel risponderti?
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[Ndr: In sede di pubblicazione su Flash Art questa intervista è stata editata per questioni di spazio, accorciandola di 57 parole. Sulla rivista l’intervista era accompagnata da una foto del volto dell’artista, a cui si fa riferimento nella prima risposta.]

